Sappiamo tutti che un manipolo di guerrieri normanni, passato lo stretto di Messina, venne in Sicilia e vi ripristinò la fede cristiana.
Cefalù aveva già una vita millenaria che non si può condensare in poche righe. Era sorta, forse per la confluenza di elementi sicani e fenici, molti secoli prima che Roma nascesse.
Il tempio di Diana testimonia di una Sicilia non ancora sfiorata dalla civiltà greca cui invece richiamano le mura megalitiche bagnate dalle onde che vide Ulisse ,se è vero che il paese dei Lestrigoni, secondo un’accettabile intuizione di certa filologia classica, non può che essere Cefalù. Conquistata dai predoni del mondo, meglio noti col nome di Romani, ospitò Cicerone il quale si compiacque di studiarne le vicende legate ai nomi di Imilcone, Dionisio ed Agatocle e che ne scrisse nelle Verrine accennando alle lotte intestine locali con considerazioni che permettono di pensare alla esistenza di un tempio pagano le cui tracce potrebbero riconoscersi nei grandi massi posti alla base dell’attuale Cattedrale.
Debbo per necessita fare un lungo salto e ricordare appena che la posizione strategica di Cefalù non consenti agli Arabi di espugnarla nel primo assalto dell’838, impresa che riusci loro venti anni dopo nell’858.
Sotto gli Arabi Cefalù fu un centro attivo e pulsante di vita agricola , commerciale e marinara e potè anche avere una moschea.
Si conservano in un magazzino del Museo Mandralisca alcuni oggetti arabi e qualche stele funeraria rinvenuti al principio di questo secolo quando fu fatta la pavimentazione delle strade e della piazza adiacente al Duomo.
Pare naturale pensare alla esistenza di una chiesa musulmana nel posto in cui ora sorge la Cattedrale se è vero che i nobili arabi venivano sepolti attorno alla moschea.
Se si pensi che intorno al Mille sorsero chiese cristiane laddove si elevavano templi arabi, la supposizione diviene più attendibile. Cefalù passò ai Normanni nel 1063 e da allora la sua fortuna cominciò ad ascendere sempre più tanto che il geografo della corte di Ruggero, Ibn Edris, nell’opera “Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo” la definisce “fortezza simile a città, con un porto in piena attività”.
Ruggero II ebbe a cuore Cefalù e la scelse felicemente per fondarvi il Duomo, che costituisce il nostro orgoglio e che pertanto deve essere salvato dalle offese del tempo. Egli non volle soltanto costruirvi un tempio-fortezza per simboleggiare l’unità della Chiesa e Stato che i suoi predecessori arabi avevano realizzato, ma penso addirittura ad un monumentale mausoleo dinastico se nel 1145 , quando la fabbrica del Duomo era a buon punto , ordinò di collocarvi due sarcofagi porfirei per sé e per l’imperatrice Costanza, affinché entrambi potessero dormirvi il sonno della morte cullati dal mare di Cefalù, che Federico II spogliò delle tombe le quali oggi si ammirano nella Cattedrale di Palermo.
Del tempio normanno che domina il centro storico medioevale e si staglia nell’azzurro cielo cefaludese sullo sfondo di uno scenario naturale di incomparabile bellezza, hanno scritto uomini dotti di ogni latitudine.
Tutti ci hanno aiutato a leggerne il linguaggio architettonico costituito da strutture e forme di natura profondamente diverse e ci hanno esaurientemente illustrato la biografia della più grande opera incompiuta di Cefalù, ma nessuno è riuscito a spiegarci come avvenga che il Duomo affascini con la sua monumentalità e con la finezza della sua decorazione musiva e non riesca invece ad imporsi con la sua decadenza e con la sua pietosa senescenza all’attenzione delle Autorità competenti per una terapia necessaria, urgente e coraggiosa.
Salvatore Termini